Letture, commenti e consigli (2) – Riflessioni su “L’ospite inquietante” di Umberto Galimberti e “Cambiamo la scuola” di Chiara Foà e Matteo Saudino

Secondo appuntamento con la rubrica sulla lettura, e sulle riflessioni che ne derivano, di un nostro redattore che ha sempre qualche buon libro da consigliare su argomenti di grande attualità. 

 

Care lettrici e cari lettori, ci addentriamo nella seconda puntata della nostra rubrica “Letture, commenti e consigli”. Oggi vorrei affrontare con voi il tema della nostra, o presunta tale, seconda casa, ovvero la scuola. Sottolineo “presunta tale” proprio in virtù delle due letture attraverso cui proveremo a destreggiarci nel fenomeno di un disagio giovanile ormai crescente e a cui la scuola tout court non è sfortunatamente in grado di porre rimedio. Si tratta delle opere “L’ospite inquietante”, di Umberto Galimberti, e “Cambiamo la scuola”, di Chiara Foà e Matteo Saudino.
Sebbene non sappia quanto gli autori sui quali mi concentrerò siano d’accordo o possano vederla nello stesso modo, dopo aver letto questi due libri non ho potuto fare a meno di trovarvi una certa consequenzialità. Da una parte, Galimberti fornisce una fotografia della condizione in cui le nuove generazioni versano, mentre Foà e Saudino provano a tracciare una rotta per evitare gli scogli desolanti del nichilismo e iniziare a navigare in acque certamente più agevoli.
Procedendo con ordine, Galimberti riscontra la causa di tale disagio nella mancanza di scopo, ovvero di prospettive, per loro assenza oggettiva e non certo per mancanza di volontà. Per usare le sue parole, “Il futuro non è più visto come una promessa, ma come una minaccia”. E questo è chiaro, l’incertezza ci pervade e se si chiede a un campione di giovani “Dove ti vedi tra dieci anni?” posso dire, almeno nel mio caso, che non ne ho la benché minima idea.

 

 

Tale mancanza porta con sé una serie di conseguenze che l’autore individua in una musica assordante, balli sempre più individuali anche nelle occasioni di gruppo, abuso di sostanze dalla pesantezza crescente, oltre che di alcol e tabacco. Il tutto volto alla facilitazione della socializzazione permeata dei rapporti borghesi che mascherano la vera essenza di ciascuno. In tale contesto, tutto ciò non è che un “anestetico” per dimenticare l’incertezza e vivere “nell’assoluto presente”. Se non si vede il proprio futuro, non si può nemmeno avere una prospettiva del passato da cui partire per il conseguimento di obiettivi.
Le macrocategorie in cui si può dividere la generazione contemporanea (molto elastiche, si intenda) sono tre: la “generazione X”, quella degli indifferenti, della “non-partecipazione”, del consumo acritico, “dell’abbastanza”; la “generazione Q” dal basso quoziente intellettivo ed emotivo, dominata da una indifferenza egocentrica e da un “sono fatto così” che assolve ogni comportamento; infine, la rassegnazione degli squatter che cercano una nicchia in cui nascondersi o la violenza nichilista praticata dentro e fuori degli stadi.
A queste categorie si aggiungono comunemente i giovani suicidi. Come riportato in Adolescent suicide, di Alan Berman, una delle cause più comuni del “gesto estremo” è una scuola incapace di comprendere il singolo. Sicché, prima di intervenire sui nuclei famigliari, ben più complicati da raggiungere poiché sottostanti a sin troppi fattori economico-sociali, un inizio di lunghe vedute potrebbe configurarsi nella scuola, la seconda comunità educante.
Ora che si è delineato il contorno della situazione – chiaramente in estrema sintesi – si può procedere all’analisi della prima pietra da porre per ricostruire la speranza” e l’“attesa”, come indicato dalle parole di Foà e Saudino. Essi definiscono la scuola contemporanea con l’espressione “scuola dell’Hydra”, un’istituzione i cui problemi non sono riducibili ad un solo fattore o a una sola causa ma devono essere affrontati in ogni loro particolarità. Le teste dell’Hydra sono cinque: la “scuola parcheggio” (luogo in cui i genitori lasciano i figli per lavorare in pace senza preoccupazioni); la “scuola azienda”, istituzione il cui fine ultimo sono la produttività e l’efficienza tralasciando l’effettiva evoluzione degli studenti; la “scuola centro commerciale”, grande ammasso di progetti da selezionare e svolgere senza fine o scopo pedagogico-didattico; la “scuola delle élite”, pochi luoghi da cui ci si aspetta lo sbarco di geni indiscussi nelle università, poiché considerati prestigiosi e facoltosi; la “scuola burocratica”, in cui il corpo docente è soffocato da pendenze burocratiche di ogni genere che lo distolgono dall’accrescimento delle proprie conoscenze e spengono la passione da trasmettere a ragazze e ragazzi.

 

 

Se le teste da tagliare sono cinque, lo stesso numero deve venirne fuori in alternativa. Infatti, Foà e Saudino immaginano una scuola vitruviana che riponga nello sviluppo dell’individualità in un contesto sociale il suo fine ultimo. Per conseguire questo obiettivo, essi indicano una “scuola ecologica”, non solo attenta all’impatto ambientale ma anche alla sua stessa struttura, senza inferriate alle finestre ad esempio; una “scuola laboratorio”, dove si impara facendo e partecipando attivamente; una “scuola per una testa ben fatta”, incentrata sul ragionamento, sull’analisi e sulla critica; una “scuola del non voto”, ovvero un’istituzione che abbracci valutazioni meno standardizzate; una “scuola politica”, cioè un luogo che non discrimini insegnanti che insegnino a ragionare su temi di attualità nei quali, peraltro, si è costantemente immersi.
Consiglio di leggere consequenzialmente i due libri di cui vi parlo, così come presentati in questo articolo. Non hanno nessuna pretesa di verità assoluta, come si potrà osservare, data anche una vastissima letteratura sui temi che trattano, ma possono essere ottimi strumenti per interfacciarsi con la società odierna e con i propri disagi, insomma per scoprirsi e per scoprire.
Tuttavia, alle cinque risposte alla “scuola dell’Hydra” ne aggiungerei una sesta, sottesa alle altre ma da rendere esplicita: una scuola che educhi alle emozioni, all’affettività, alla risonanza emotiva. Purtroppo o per fortuna è un periodo di vita molto strano quello tra i 14 e i 19 anni, durante il quale si possono generare grandi ferite che possono rivelarsi ingestibili se non si ha coscienza della loro risonanza nella propria psiche.
La scuola – per dirla con le parole di un mio caro amico – “ci vede entrare appena nati e uscire con la barba”.

 

Marco Scognamillo
Classe 4^E Liceo Classico